Il Museo
Quando nel 1651 acquistò dai Barberini il feudo di Valmontone, Camillo Pamphilj aveva in animo di realizzare un progetto così tanto ambizioso da venir definito dalle cronache dell’epoca ‘città panfilia’, una sorta di città ideale ispirata ai modelli delle teorie rinascimentali. Nel 1652 si diede avvio alla quasi totale demolizione dell’antico castello Sforza – già dei Conti di Valmontone – e nel 1654 iniziarono i lavori per il nuovo palazzo ultimati nel 1670 circa. Il progetto originario si deve al gesuita Benedetto Molli mentre la prosecuzione della fabbrica a partire dal 1666, ad Antonio Del Grande.
L’impianto architettonico appare come una soluzione intermedia tra la tipologia nobiliare e quella fortificata. Il volume chiuso e compatto del grosso blocco monumentale, ubicato in un punto strategico rispetto all’ambiente circostante, fa pensare ad una posizione funzionale all’avvistamento ed al controllo del territorio sicuramente derivante dall’antico edificio medievale preesistente. A rimarcare questo aspetto fortificato contribuiscono i profili angolari a bugne lisce che comprimono l’espansione del volume.
Dal 2003 il Palazzo ospita il Museo di Palazzo Doria Pamphilj, costituito da una sezione archeologica ospitata al piano terra, ed una sezione storico-artistica al piano nobile.
La sezione archeologica illustra i siti rinvenuti nel corso degli scavi preliminari ai lavori di realizzazione della linea TAV, con l’esposizione di reperti e plastici restitutivi del territorio, organizzati secondo criteri topografici. La collezione consiste principalmente di manufatti che documentano aspetti della vita quotidiana, legati non solo ai centri abitati ma anche ai centri di produzione venuti in luce durante gli scavi, come ad esempio la carbonaia di Colle Carbone, l’insediamento produttivo di Colle dei Lepri e la fornace di Colle Pelliccione. L’arco cronologico che attraversa i siti rinvenuti e gli oggetti conservati, va dal IV a.C. al IV secolo d.C.
Pezzo di assoluto rilievo, è il sarcofago di Colle Vallerano, rinvenuto a Valmontone nel 1936 nell’omonima località e databile tra il 260 e il 280 d.C. Il manufatto, in marmo bianco a grana fine, dalla forma appena accennata di lenos (vasca), è dotato di coperchio e presenta sulla fronte l’imago clipeata del defunto (priva tuttavia di caratteri somatici), in tunica e toga, che reca nella mano sinistra un volumen. I fianchi del sarcofago sono entrambi decorati con la scena di un leone nell’atto di catturare uno stambecco mentre tenta di divincolarsi dalla presa mortale.
Altro manufatto di straordinario interesse è il sarcofago tufaceo di Colle Salomone databile tra il IV ed il III secolo a.C. Rinvenuto nel territorio di Valmontone nel 2011, è stato oggetto di un recente restauro che ne ha permesso la ricollocazione del coperchio e soprattutto la piena fruibilità da parte dei visitatori.
Pezzo d’eccezione è il cosiddetto pettorale della fanciulla, rinvenuto in una tomba in località Colle dei Lepri in occasione degli scavi preliminari ai lavori TAV. Si tratta di un manufatto del quale si conserva, in maniera frammentaria, solo una parte, e che consisteva in un ornamento di abbigliamento femminile (pettorale). Il pezzo è costituito da una fascia sagomata di cuoio traforato, riccamente decorata con sottili maglie di lamina di rame dorato e maglie di lamina d’oro.
La visita del Museo prosegue con il percorso storico-artistico rappresentato dal ciclo di affreschi conservato al piano nobile. Fu eseguito tra il 1658 ed il 1661 e rappresenta uno degli esempi più significativi della pittura romana della metà del Seicento. Il ciclo interessa essenzialmente le volte, ad esclusione del Salone del Principe in cui l’intera superficie parietale è dipinta a trompe l’oeil. L’iconografia è incentrata sulle allegorie dei quattro Elementi e dei quattro Continenti. Per l’esecuzione degli affreschi Camillo coinvolse artisti di grande fama quali Pier Francesco Mola, Gaspard Dughet, Guglielmo Cortese, Francesco Cozza e Mattia Preti.
La Stanza del Fuoco fu dipinta da Cozza tra il 1658 ed il 1659. Al di sopra della cornice d’imposta si alternano numerose figure di eroi e divinità impegnate nella tradizionale lavorazione dei metalli.
Nella Stanza dell’Aria Mattia Preti nel 1661 elabora uno sfondamento illusorio della volta lasciando che le figure si muovano liberamente nello spazio. In questo dinamismo vorticoso quattro punti fermi sono costituiti dalle allegorie angolari del Tempo-Saturno, della Fama, dell’Amore e della Fortuna. Lungo i lati della volta si snoda l’incessante procedere dei carri astrologici corrispondenti a Mattino, Giorno, Sera e Notte.
La volta della Stanza dell’Acqua fu dipinta da Guillaume Courtois e si presenta suddivisa in cinque riquadri scanditi da coppie di telamoni angolari a grisaille. All’interno sono raffigurati soggetti mitologici attinenti all’elemento, quali Nettuno e Anfitrite, Proteo e le Naiadi, Polifemo mentre spia Galatea in compagnia di Aci. Al centro alcuni Amorini versano acqua da una conchiglia.
L’autore della Stanza della Terra è Giambattista Tassi, che suddivise la volta in cinque riquadri all’interno dei quali inserì scene di accurata ambientazione paesaggistica, popolate da personaggi mitologici ed allegorie con forti rimandi simbolici alla fertilità connessa al ciclo delle stagioni.
I quattro camerini sono dedicati alle allegorie dei continenti allora noti. La loro raffigurazione rispetta fedelmente quanto indicato da Cesare Ripa nel suo fortunato volume Iconologia, uno sterminato repertorio pubblicato per la prima volta nel 1593 e che divenne in breve tempo il prontuario più utilizzato dai pittori per la rappresentazione di concetti astratti.
Il Camerino dell’America ed il Camerino dell’Africa furono dipinti da Pier Francesco Mola tra il 1658 ed il 1659 e sono le uniche testimonianze del lavoro di Mola a Valmontone.
Il Camerino dell’Asia fu dipinto da Francesco Cozza, mentre il Camerino dell’Europa è attribuito a Giambattista Tassi. Si tratta di porzioni di affresco riprodotti nei centri di volta riquadrati che richiamano la tipologia dei cosiddetti “quadri riportati”.
Entrambi i camerini sono stati interessati da un recente intervento di restauro conservativo che ha riguardato anche il recupero e la restituzione delle decorazioni geometriche delle pareti e degli spicchi delle volte.
Di dimensioni analoghe sono le pitture degli unici ambienti a carattere sacro: la Stanza di Sant’Agnese e quella del Padre Eterno, attualmente in corso di restauro.
Nel Salone del Principe, traendo ispirazione dalle pitture realizzate solo l’anno prima nel palazzo del Quirinale, Gaspard Dughet ha realizzato un sistema di architetture delineando, lungo le pareti, un colonnato sormontato da una trabeazione oltre il quale si possono scorgere ampi scorci di paesaggio quasi ritratti “dal vero”, sia pur attraverso il filtro di una visione della natura e di una luce idealizzanti. Lungo il perimetro dell’imposta della volta, corre una terrazza dipinta, delimitata da balaustrate e ringhiere, dalla quale si affacciano gruppi di giovani dame accompagnate da un cavaliere dal cappello piumato. Nel riquadro centrale della volta lo stemma partito di Camillo Pamphilj e della moglie Olimpia Aldobrandini.
Il “salotto dipinto”, così indicato negli antichi inventari della famiglia Pamphilj, fu dipinto da Dughet in tempi assai brevi con la collaborazione dell’amico Guillaume Courtois, al quale si devono anche i ritratti delle “belle” di famiglia.